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Cherchi Placido

Tracciare un arco biografico su Placido Cherchi richiede un’analisi aperta a più letture culturali, tante quante le specializzazioni e le iniziative che hanno caratterizzato questo pensatore schivo, delicato e soprattutto libero. Di certo parliamo di uno dei più grandi intellettuali sardi del secondo Novecento, portatore di un pensiero mobile, capace di aprire traiettorie e spunti diversi, ma sempre mosso da uno sguardo orientato all’indagine identitaria, con profonde connessioni nei campi dell’antropologia, della filosofia, della linguistica, delle arti figurative, della sociologia e della psichiatria. 

Nato ad Oschiri nel 1939, Cherchi ha studiato a Cagliari formandosi in particolar modo con due luminari dell’accademia di allora: l’antropologo Ernesto De Martino, autore di capolavori come “Sud e Magia” e “La terra del rimorso”, e il grande storico dell’arte Corrado Maltese. 

Sono i primi anni Sessanta, un periodo storico felice per la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari, che brilla di luce propria con la presenza di docenti come Giovanni Lilliu, Aldo Capitini, Antonio Sanna, Vincenzo Ussani, Giuseppe Petronio. Una congettura ricca di spunti nella quale Cherchi si ritrova immerso. De Martino e Maltese favoriscono in lui il germoglio delle sue più grandi passioni: da una parte l’antropologia culturale, dall’altra le arti figurative. Rami di ricerca che hanno marcato un percorso intellettuale articolato, con posizioni originali e mai uniformi al pensiero convenzionale. 

A caratterizzare il pensiero dell’autore oschirese sono stati soprattutto i suoi studi sull’opera di De Martino, con una lettura multidisciplinare, ibridata da più indagini culturali e condotta nella direzione di un’analisi, tanto soggettiva quanto collettiva, sulla complessità dell’identità sarda. Come se l’ottica dell’antropologo napoletano rappresentasse per lui una forma di autocoscienza.  E, a ben guardare, anche l’ultima opera di Cherchi “Per un’identità critica. Alcune incursioni autoanalitiche nel mondo identitario dei sardi”, ricompone per certi aspetti il filone demartiniano dell’etnocentrismo critico.  E cioè a dire: se è vero che la condizione etnocentrica è l’hic et nunc del sardo, ovvero un dedalo di sedimentazioni storiche e linguistiche, è altrettanto vero che è proprio in questa complessità che il sardo può riconoscersi e identificarsi. 

Cherchi parla del cosiddetto “fungudu”, ovvero la “profondità oscura” dei sardi, l’essere pluristratificati, sempre problematici, esitanti e dilemmatici, diffidenti rispetto a ciò che immediatamente appare, convinti che la realtà vera sia sempre oltre ciò che si vede.  Quasi a dire che, fin nella sua espressione linguistica e grammaticale, il sardo sia un soggetto del possibile non del certo, dell’ipotetico e non del definito.
Elemento centrale di questa visione è il silenzio, quello espressivo o quello tout-court. Il silenzio come metafora del non detto, quasi una via di mezzo tra l’invisibile e il visibile, tra l’assenza di parola e la materia viva dell’assenza. Una polarità, questa, fatta di percepibile e impercepibile, che si riflette nella coscienza dei sardi creando una vera e propria scissione identitaria. “È come se ci trovassimo inadeguati e sperduti nell’orizzonte del tempo. Quasi che il nostro essere nel mondo si avvertisse espropriato della sua forma più vera, e avesse dentro di sé il tormento nostalgico di un altrove perduto”.

Quella di Cherchi è una riflessione filosofica e linguistica cadenzata da narrazioni affascinanti e da un linguaggio complesso, sempre originale, che plasma la sua carica comunicativa e la sua postura analitica.  

Negli anni, l’intellettuale oschirese, ha partecipato attivamente alle iniziative della Scuola antropologica di Cagliari, ha insegnato filosofia nei licei e Storia dell’arte presso l’Università degli studi di Sassari. Ma soprattutto è stato autore di una vasta produzione saggistica. Tra le sue opere si segnalano Paul Klee teorico (De Donato, 1978); Mito e pittura in Giovanni Nonnis (Alfa Editrice, 1980); Sciola. Percorsi materici (Stef, 1982); Ernesto De Martino (Liguori, 1987); Nivola (Ilisso, 1990); Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto De Martino (Liguori, 1994); Il peso dell’ombra. L’etnocentrismo critico di Ernesto De Martino (Liguori, 1997); Etnos e apocalisse (Zonza, 1999); Il recupero del significato (Zonza, 2001); Italo Medda: esercizi di ammirazione (Zonza, 2004); Crais. Su alcune pieghe profonde dell’identità (Zonza, 2006); Il cerchio e l’ellisse. Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino (Aìsara, 2010); Per un’identità

critica. Alcune incursioni autoanalitiche nel mondo identitario dei sardi (2013). 

Morto a Cagliari nel settembre del 2013, Cherchi ci ha lasciato in eredità non soltanto una delle visioni più alte e profonde dell’identità sarda (per molti aspetti unica nel suo sviluppo e unica nella sua tesi), ma anche la bellezza della complessità come esercizio di interpretazione del mondo.  

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