Nel vasto mosaico della dottrina costituzionale italiana, il nome di Alessandro Pizzorusso occupa uno spazio di assoluta centralità. Antesignano in molte analisi sull’ordinamento giudiziario, l’intellettuale toscano ha saputo coniugare la sua grande cultura accademica al rigore del sapere, e così pure la passione civile, densa di realismo e disincanto, all’impegno pubblico, fatto di posizioni coraggiose e spesso in anticipo sui tempi. Una personalità tanto aperta e conciliante nelle relazioni personali quanto rigida e severa nel giudicare la realtà intorno a lui.
Nato a Lucca nel 1931, Pizzorusso si è laureato in giurisprudenza nel 1954, nell’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi sull’Alta Corte per la Regione siciliana, con relatore Franco Pierandrei. Vincitore del concorso in magistratura nel 1958, inizia così il suo percorso come uditore giudiziario nel Tribunale di Roma. Successivamente, dopo aver esercitato le funzioni di pretore ad Empoli e poi giudice nel Tribunale di Pisa, nel 1963 assume la qualifica di magistrato.
Sono anni di grande formazione per Pizzorusso, che all’interno di una magistratura ancora guidata da una visione conservatrice si distingue come uno dei pochi giudici orientato ai principi di tutela delle libertà propri della Costituzione. Non a caso, e in più occasioni, si ritrova a sollevare questioni di legittimità costituzionale su testi di impianto autoritario e liberticida.
Il suo modo di interpretare l’attività di magistrato diventa progressivamente un riferimento per molti giudici, un modello che proseguirà in forme diverse anche dopo il suo ingresso nell’Accademia. Molteplici gli scritti che diffondono il suo pensiero. Lo ricordiamo ad esempio come curatore di una nota rubrica nella rivista “Quale giustizia”, ma anche autore delle Rassegne annuali sulla giurisprudenza della Corte costituzionale pubblicate sul Foro italiano. Scritti, questi, che animano lo sguardo critico del magistrato toscano, diventando quasi un controcanto rispetto al pensiero giuridico più istituzionale.
Questa continua tensione analitica approda, nell’ottobre del 1972, all’abbandono della magistratura, una scelta alla quale fa seguito l’inizio della carriera accademica di Pizzorusso, dapprima come professore straordinario di Diritto costituzionale e dopo, fino al 2007, come docente ordinario. Un percorso che si compie quasi interamente nell’Università degli studi di Pisa, ateneo capostipite di una delle più dinamiche ‘scuole’ di diritto costituzionale.
In questo periodo si alternano molteplici incarichi accademici per il docente toscano: nel 1990 viene insignito dell’Ordine del Cherubino; dal 1996 al 2006 è stato direttore del dipartimento di Diritto pubblico; nel 2007 riceve la nomina di Professore emerito. E ancora: per dieci anni (dal 1985 al 1994) è stato presidente dell’Associazione italiana di diritto comparato. Una veste, questa, che Pizzorusso, insieme a pochi altri studiosi, quali ad esempio Rodolfo Sacco, ha interpretato nell’ottica di una maggiore diffusione degli insegnamenti di diritto comparato nelle facoltà di Giurisprudenza, fino ad allora piuttosto limitati. La sua, infatti, è stata una spinta decisiva per la riforma dell’ordinamento degli studi avvenuta nel 1995, testo che per la prima volta introdusse il carattere obbligatorio per la formazione di taglio comparatistico.
Nel 1998 diventa socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei ed entra da far parte del gruppo di esperti che redigono, per conto della Commissione europea, il Rapporto “Affirming fundamental rights in the European Union” (pubblicato nel 1999), ovvero un punto di partenza decisivo per la successiva approvazione della Carta di Nizza nel 2000.
Oltre l’ambito accademico c’è poi la sfera istituzionale, dove Pizzorusso ha rivestito incarichi importantissimi. Dal 1990 al 1994 ha fatto parte del Consiglio Superiore della Magistratura e negli anni a seguire, nel pieno della cosiddetta Seconda Repubblica, si è fatto portatore di posizioni molto dure nei confronti dei componenti del Csm di area centrodestra, definendoli nel 2003 “esponenti del partito azienda”. Affermazioni, queste, che accesero un’aspra polemica pubblica, comportando anche un intervento dell’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il quale poco tempo dopo, nel 2004, assegnò proprio a Pizzorusso la Medaglia di Benemerito della scuola, della cultura e dell’arte. Tracciare anche solo un quadro sintetico dell’attività scientifica e della bibliografia del docente toscano è certamente un’impresa difficile avendo davanti un parco editoriale che conta quasi un migliaio di scritti (722 dal 1956 al 2004). Inoltre, molti dei suoi lavori sono stati tradotti in più lingue, per una diffusione che all’estero ha trovato il suo apice più significativo in Spagna, dove la nuova generazione dei costituzionalisti, quella emersa dopo la dittatura di Franco, si è formata studiando proprio sui manuali di Pizzorusso.
Tra i tanti temi trattati nelle sue opere vanno ricordati con particolare attenzione i lavori sulle minoranze linguistiche, sulla pubblicazione degli atti normativi, sulle fonti, sull’eguaglianza e i diritti di libertà, sulla giustizia costituzionale, sull’ordinamento giudiziario. Senza dimenticare la scrittura dei manuali di diritto costituzionale prima e di istituzioni di diritto pubblico successivamente.
Un impegno ininterrotto, quello di Pizzorusso, che fino alla sua morte, nel 2015, ci ha mostrato un esempio di alta dottrina accademica e di integerrimo coraggio critico.