“Le prospettive per la lingua sarda sono del tutto negative rispetto ai prossimi decenni, così come lo sono per quasi tutte le numerose lingue attualmente parlate nel nostro pianeta. Chi la fa da padrona è oramai la lingua inglese, la quale domina nelle radio-televisioni di tutto il mondo e soprattutto nella rete internet. Per quanto riguarda la lingua sarda io già una quarantina di anni or sono avevo lanciato l’allarme su quella che chiamai ‘dissardizzazione linguistica galoppante’, determinata dalla scuola, dalla stampa, dai media. Oramai in Sardegna non parlano più la lingua sarda né i ragazzi e né gli adulti, ma solo i vecchi”.
Così, in una delle sue ultime interviste, rilasciata al quotidiano L’Unione Sarda, Massimo Pittau evidenziava con una lucida visione storica la lenta estinzione generazionale della lingua sarda. Un’analisi netta, quasi senza orizzonti, che per molti aspetti descrive lo stile critico e severo del più grande linguista sardo.
Nato a Nuoro nel 1921, Pittau è stato, oltreché linguista, un gigante della glottologia italiana, ma anche studioso della lingua etrusca, della lingua sarda e protosarda. Accademico di grande carisma, tenace, preciso, sempre pienamente calato nelle sue tesi, al punto da diventare uno dei simboli della glottologia e della linguistica sarda.
Dopo la formazione giovanile a Nuoro si laurea in Lettere all’Università degli Studi di Torino, con una tesi sul dialetto nuorese, e poi in Filosofia all’Università degli Studi di Cagliari, con un successivo perfezionamento alla Facoltà di Lettere di Firenze, dove fu allievo del noto luminare di glottologia Giacomo Devoto. Nel 1959 ottiene così la cattedra di docente ordinario nella Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Sassari, dove, dal 1975 al 1978, diventa anche preside di Facoltà, tenendo contestualmente gli incarichi di Glottologia e Linguistica Generale.
Ma delle tante pagine da ricordare su Pittau, va sottolineata la sua amicizia epistolare con Max Leopold Wagner, il padre della linguistica sarda, con il quale il docente nuorese instaurò una fitta corrispondenza durata diversi anni, fino alla morte del filologo tedesco.
Il percorso di Pittau è costellato di numerose pubblicazioni, ma anche ricerche e articoli accademici: più di cinquanta libri e oltre quattrocento studi su temi di linguistica, filologia e filosofia del linguaggio. Una strada che ha portato anche a prestigiosi riconoscimenti: nel 1972 l’assegnazione del “Premio della Cultura” dal Presidente del Consiglio dei ministri, e nel 1995 il Premio del Gruppo internazionale di Pisa, nella sezione “Letterati del nostro tempo” per l’opera “Poesia e letteratura – Breviario di poetica” (Brescia, 1993). Sempre nel ’95 è la volta di un riconoscimento speciale nell’ambito del Premio Ozieri. E ancora: il “Premio Sardegna”, del 1997, a Sassari, per la sezione Linguistica; un diploma di benemerenza nel “1° Festival della letteratura sarda”, nel 2004; il “Premio Città di Sassari – Lingue Minoritarie, Culture delle Minoranze”, nel 2009.
Pittau, quindi, è stato un accademico dalle grandi doti di ricercatore, e come docente ha espresso una personalità vulcanica capace di formare generazioni di studenti. Non solo. È stato anche un appassionato studioso di archeologia, sostenendo in modo coraggioso la tesi secondo cui la funzione dei nuraghi fosse da attribuire principalmente al campo religioso (templi comunitari o tribali) e non militare (fortezze o castelli), evidenziando in modo del tutto singolare la loro origine anatolica, specificamente “lidia”, da cui il termine “sardiano”, per indicare gli influssi asiatici nel sardo. Al riguardo, uno dei suoi libri più importanti (non meno, tra i più criticati) è stato “La Sardegna nuragica”, del 1977, poi ristampato nel 2006.
In campo linguistico, invece, va ricordata un’altra opera immensa di Pittau, “Luoghi e toponimi della Sardegna”, che, come nell’ottica di un dizionario, ha codificato lo studio dell’intera toponimia della Sardegna, presentando e analizzando i toponimi di ben 83 comuni del centro dell’Isola. Un lavoro sconfinato, che ha condotto all’individuazione di circa 20 mila toponimi.
Ma le fatiche di Pittau hanno esplorato anche il campo della lingua etrusca, andando alla ricerca di possibili legami con la lingua protosarda. Un filone che impegnerà il docente nuorese per più di 30 anni, con 12 libri e più di cento articoli.
La congiunzione fra il popolo nuragico e quello etrusco ha animato gran parte degli interessi storici portati avanti da Pittau. La tesi che emerge nei suoi studi è che la Sardegna nel II sec. a.C. abbia avuto un ruolo di estrema importanza nelle politiche mediterranee, un posizionamento confermato sia dalla politica di alleanze e sia dall’aver preso parte alla storia dei Popoli del Mare, al tempo dei cosiddetti Shardana, più in particolare durante l’invasione dell’Egitto.
Si tratta di posizioni controcorrente, ma sulle quali Pittau non si è mai tirato indietro, manifestando sempre la sua postura da polemista e attento conoscitore delle fonti.
Morto tragicamente all’età di 98 anni, nel 2019 (a seguito di una caduta dal terrazzo del suo appartamento) Pittau ci ha lasciato un patrimonio di ricerche così ampio e particolareggiato che ne fa il riferimento più importante della lingua sarda, colui che più di altri, con tenacia ed orgoglio, ha elevato scientificamente e storicamente il tessuto linguistico del popolo sardo.