Lingua sarda: doveroso ripartire da zero
Il prossimo anno la Regione Sardegna avrà l’occasione di azzerare la situazione e di ripartire finalmente da capo, mettendo una pietra tombale sopra le prime due false partenze riguardanti gli standard fino a questo momento sperimentati, con riferimento, ovviamente, a quelle che un tempo venivano chiamate LSU ed LSC.
Certo, la nuova legge sulla lingua sarda approvata nell’estate del 2018 con 25 voti a favore e 20 contrari non fa ben sperare. Una legge pasticciata, frutto di compromessi in vista delle elezioni regionali del 2019. Una legge che è servita solo a cercare di mantenere in vita attraverso i finanziamenti regionali, a mo’ di respiratore artificiale, il sistema fino a questo momento fallimentare de “sos isportellos de sa limba”.
Ma vediamo che cosa prevede questa legge.
Di fatto in tema di bilinguismo perfetto la RAS non fa certo passi in avanti. Si rimane ancora in una situazione di limbo, dove tutto il sistema degli sportelli e de sa limba continua a sopravvivere in un pietoso stato comatoso, certamente poco onorevole per una regione che aspira ad essere definita “bilingue”. La Regione di fatto vuole solo tirare a campare. Bisogna comunque pur dirlo: il peggiore nemico della lingua sarda, oggi, non è più Roma (cioè la Repubblica italiana) ma Cagliari ovvero la RAS. Ci si chiede che cosa voglia fare la Regione quando sarà adulta. Peccato però che questa abbia ormai la veneranda età di 70 anni. Cosa manca a questa legge per essere veramente seria e a favore dei sardi ? Manca innanzi tutto il coraggio di inserire nello statuto di autonomia che la lingua sarda, la lingua etnica dei sardi, debba essere ufficiale, cioè finalmente con pari dignità e importanza rispetto alla lingua statale (cioè l’italiano).
Manca l’obbligatorietà dell’uso del sardo sia nelle istituzioni scolastiche sia nella pubblica amministrazione e purtroppo quest’assenza persistente impedirà ad ogni docente sardo e ad ogni dipendente pubblico che utilizza il sardo sul proprio posto di lavoro con gli utenti di non poter rivendicare il proprio diritto a percepire l’indennità di bilinguismo: ben 180 euro lordi in busta paga ogni mese. Non solo, ma cosa ben più grave impedirà ancora ai bambini ed agli adolescenti sardi di beneficiare di un loro sacrosanto diritto sancito da norme internazionali e statali a tutela dei popoli nativi e soprattutto dei giovani sardi aventi come madre-lingua il sardo, vale a dire l’insegnamento obbligatorio del sardo a scuola. E ancora ben più grave appare il fatto che la RAS, vedi la L.R.n° 22/2018 art. 24 c.2, voglia arrogarsi con prepotenza il diritto di ri-fondare la <Acadèmia de su Sardu> che è una realtà che di fatto esiste già ed opera grandiosamente, senza scopo di lucro, già da un decennio per opera di grandi estimatori del Sardo quali i compianti Eduardo Blasco Ferrer e Oreste Pili.
Vista l’interruzione da ormai 30 anni della trasmissione intergenerazionale del sardo da madre a figlio/a o da genitori a figli, l’unico modo per far risalire il limitato numero di bambini madre-lingua (L1) e quindi di salvare il sardo è appunto l’obbligo dell’insegnamento del sardo a scuola. Chi dice che ciò non sia possibile o sia contro la Costituzione italiana o addirittura contro l’Europa fa sostanzialmente pura demagogia da quattro soldi.
Il sardo si può e si deve insegnare obbligatoriamente a scuola, pena il dover dare ragione al Prof. Hale del MIT: cioè condannare la lingua sarda all’inesorabile estinzione equivarrebbe al lancio di una testata atomica sul Louvre.
Quanto allo standard, viste le false partenze del 2001 con la LSU e del 2006 con la LSC, credo sia giunta l’ora di porre fine alla violenza perpetrata da pochi fanatici ideologizzati. Si può e si deve ripartire dal sardo che da sempre conosciamo: le due varietà letterarie storiche ovvero il sardo campidanese e quello logudorese-nuorese, che non sono due lingue ma due parlate della stessa lingua, con la stessa ortografia e grammatica ma con un lessico che deve rimanere ricchissimo e diversificato.
I modelli di gestione delle diversità linguistiche non mancano, ragion per cui si consiglia vivamente alla RAS di prendere spunto dalla migliore realtà democratica d’Europa in materia di pluralismo linguistico: la Norvegia. Il norvegese è una lingua che si esprime in due ben note parlate, anzi macrovarietà: il neo-norvegese (diffuso nell’ovest) ed il norvegese letterario (tipico dell’area metropolitana di Oslo) entrambi visti e vissuti dalla popolazione come un inestimabile patrimonio linguistico nazionale meritevole di tutela. Nulla impedisce alla Regione Sardegna di prendere spunto dalla Norvegia e riprodurre quel sistema in Sardegna magari con i dovuti adattamenti alla realtà peculiare sarda.
Dott. Andreas Lichtenberg
Università di Lund
(Svezia)