Nel controverso dibattito sulla lingua sarda e sui variegati rivoli delle sue varianti, Antonio Lepori ha certamente un grande merito: quello della rivitalizzazione della lingua campidanese, sia nella sua forma grammaticale che nella sua forma lessicografica.
Una proposta innovativa, la sua, che nel noto “Dizionario italiano – sardo campidanese” (edizioni Castello, 1988) descrive così: “Nel campo della grafia, sempre più numerosi sono coloro che si rifiutano di assoggettare il sardo al sistema ortografico italiano e ricercano un modo autonomo di scrivere la loro lingua. Chi è abituato a vedere il sardo scritto con la grafia italiana storcerà probabilmente il naso davanti alla grafia adottata in questo dizionario”. Ne merge così una grande rivoluzione che per la prima volta affida al sardo-campidanese, ovvero uno dei due grandi gruppi dialettali in cui viene diviso il sistema linguistico sardo, una precisa identità scritta.
A questo approdo Lepori ci arriva dopo un lungo percorso di ricerca e studi. Nato a Cagliari nel 1951, consegue la laurea in Filosofia, discutendo una tesi su Wittgenstein, nel 1974, e poco dopo inizia la sua esperienza da docente di Lettere, dapprima a Sant’Andrea Frius e successivamente a Selargius, come professore di Storia e Filosofia nel Liceo Pitagora.
Attento conoscitore della lingua sarda, si caratterizza fin da subito per i suoi lavori sul sardo campidanese, costituendo quella che possiamo definire come la corrente della OSA (Ortografia Sarda Autonoma), in uso prevalentemente tra i ricercatori del Comitau.org e nell’associazione culturale Acalisa (Accademia campidanese della lingua sarda).
Lepori con le sue ricerche ha restituito dignità al campidanese sfilandolo dalla sua marginalizzazione e mettendolo al centro di un dibattito di valorizzazione politico-culturale come mai era accaduto prima. Contestualmente ha anche fatto emergere il tema delle macro-varietà linguistiche, esponendosi fin dagli anni Settanta con azioni civiche e con pubblicazioni scientifiche incentrate sul campo della lessicografia. Ma non solo. Oltre ad essere uno dei maggiori conoscitori della lingua sarda è considerato soprattutto un esperto nel campo dei neologismi e in tutto ciò che riguarda i sinonimi e i contrari.
Una ricerca, la sua, che partendo dallo studio delle radici sarde si è riappropriata di una identità linguistica sommersa, una lingua schiacciata da secoli di colonizzazioni. Questo il fulcro dell’analisi: “Il campidanese prende nome dal Campidano, la grande pianura che dal Golfo di Cagliari va fino a quello di Oristano. Al suo interno vi sono delle sub-varianti, cioè dialetti, che, pur non distaccandosi come struttura di base dalla varietà di cui fanno parte, si distinguono per caratteristiche lessicali o fonetiche loro proprie (come, ad esempio, il caso del sulcitano, del sarrabese, dell’ogliastrino, ecc.)”.
Ebbene, “nel campo della grafia, sono sempre più numerosi coloro che si rifiutano di assoggettare il sardo al sistema ortografico italiano e ricercano un modo autonomo di scrivere la loro lingua. Fino a epoche recenti, infatti, l’ortografia della lingua sarda non ebbe regole fisse e, del resto, in passato anche l’ortografia delle altre lingue neolatine, italiano compreso, presentava incertezze e varietà di soluzioni. L’instabilità ortografica ancora perdurante, quindi, è dovuta principalmente a due motivi: la condizione di subalternità in cui la lingua sarda è tenuta da molti secoli e la scarsità di studi scientifici, a carattere divulgativo, sulla struttura del sardo”.
Ciò significa che “i sardi hanno sempre scritto la loro lingua usando la grafia della lingua di volta in volta dominante (catalano, castigliano, italiano). Soprattutto oggi, col massiccio attacco dei mass media, che determinano una scrittura, per così dire, all’italiana”.
In quest’ottica, l’originalità del pensiero di Lepori capovolge l’uniformità linguistica globale per far emergere un corpo lessicale distinto. Quasi a dire: l’indipendenza nasce anzitutto dalla riappropriazione di una specificità linguistica. Una lezione che per molti aspetti riprende gli insegnamenti di Antonio Simon Mossa, di cui Lepori è stato allievo e discepolo, e con lui, l’amico e militante Giampiero Zampa Marras-Meloni.
Nel 1976 i due sono tra i fondatori dell’O.S.S.N. (Organizzazione Socialista “Sardegna Nazione”), sciolta poi dopo soli sei anni, nel 1982. Un’esperienza di autodeterminazione e riscatto che resterà particolarmente impressa nel lungo corso indipendentista e che lo stesso Giovanni Lilliu ebbe a commentare così: “L’eredità politica di Simon Mossa era fortemente presente anche nella disciolta Organizzazione Socialista ‘Sardegna Nazione’, fondata nel settembre del 1976, a Sassari, da Giampiero Marras e Antonio Lepori, due dirigenti sardisti facenti parte dell’area ‘rivoluzionaria” del Partito Sardo d’Azione, espulsi per aver osteggiato l’alleanza elettorale tra i Sardisti e il Partito Comunista Italiano, sotto il simbolo ‘Falce e martello, bandiera rossa e tricolore”. Nei programmi di ‘Sardegna Nazione’ – l’organizzazione sardista-indipendentista, nazionalitaria, socialista ed etno-federalista, nata da una costola del Partito Sardo d’Azione – si parlava di costruire a livello di massa la coscienza nazionale sarda; di lottare contro l’imperialismo linguistico che stava portando al “genocidio culturale” della Nazione Sarda; di liberare il popolo sardo dall’oppressione straniera e di battersi contro l’apparato di occupazione e sfruttamento dello Stato italiano. Come pure di potenziare l’uso della lingua sarda insieme alle altre parlate dell’Isola, da portare su posizioni di autonoma carica rinnovatrice, e di dare vita – d’intesa con le altre organizzazioni sardiste e indipendentiste operanti in Sardegna – a un P.S.N.T. -Partidu Sardu Nassionale de sos Traballiadores (Partito Nazionale Sardo dei Lavoratori), che assumesse su di sé il compito di liberare il Popolo Sardo, con in testa il proletariato e gli strati più deboli della società, dal duplice sfruttamento, coloniale e sociale, cui era sottoposto da parte dello Stato e del grande capitale, sardo, italiano e straniero”.
Quello di Antonio Lepori è stato, dunque, un impegno politico e culturale fondato sul valore della lingua come progetto di ricostruzione della consapevolezza identitaria.
La sua impronta intellettuale è disseminata in numerosi articoli pubblicati nel periodico indipendentista “Sa Republica Sarda”, dove, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, il docente umanista entra con coraggio e visione nel dibatto sulla difesa e valorizzazione del sardo, andando contro il proibizionismo linguistico di quegli anni e sovente attirandosi l’etichetta di separatista.
Ma quella di Lepori è stata una sfida tutta culturale, con la formazione di numerosi giovani che in lui hanno edificato la loro competenza linguistica, diventando a loro volta degli esperti importanti. Tra le sue opere più significative vanno certamente ricordate “Passau e presenti de sa lingua sarda”, 1982; “Appunti per una storia della poesia del Campidanese”,1987; “Fueddàriu campidanesu de sinònimus e contràrius”, 1987; “Dizionario italiano-sardo (campidanese)”, 1988; “Gramàtiga sarda po is campidanesus: duas obras in d-unu libru: compendio di grammatica campidanese per italofoni”, 2001; “Stòria lestra de sa literatura sarda”, 2005. Tutti titoli e lavori che rappresentano ancora oggi una base di studio fondamentale per acquisire, o riacquisire, una propria identità linguistica.