L’antropologia di Giulio Angioni (Guasila 1939 – Settimo San Pietro 2017) ha lasciato un segno originalissimo nella storia degli studi etnografici sardi, con un riflesso di ampio respiro a livello nazionale, e anche oltre. Il suo è un lavoro di ricerca scientifica e di narrazione letteraria che ha messo al centro dell’analisi il sapere materiale delle comunità rurali, i codici e i valori di una società che, pur tramontata, è radice e spiegazione del presente. Non si tratta per Angioni di ritrovare nel passato un qualche carattere originario e immutabile della sardità, ma piuttosto registrare, con rappresentazioni che abbiano corpo e sangue, il compenetrarsi di esperienze culturali diverse, una multi-identità che ha dato vita all’amalgama in cui sono nati i tratti originali della fisionomia sarda. Questo, il nucleo cardinale dell’opera di Angioni, la sapiente ibridazione fra antropologia e letteratura.
La sua pluriennale attività di docente all’Università di Cagliari (con alcune parentesi anche in Francia e in Inghilterra) ha segnato generazioni di studenti e intellettuali che in quell’Ateneo si sono formati. E, sempre a Cagliari, Angioni è stato anche studente e allievo di Ernesto De Martino e Alberto Mario Cirese, due maestri dell’antropologia italiana, la cui opera rappresenta ancora oggi un riferimento di letteratura accademica sugli studi del mondo popolare e contadino.
L’ingresso di Angioni nel mondo universitario risale al 1967 con l’assegnazione di una borsa di studi post-laurea. Nel 1980 diventa così Professore Ordinario di Antropologia Culturale dirigendo, poi l’Istituto di Discipline Socio-Antropologiche della Facoltà di Magistero e il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane della Facoltà di Lettere e Filosofia.
A caratterizzare il suo lavoro è fin dagli esordi la capacità di elevare lo studio sulla cultura materiale, sull’identità e sulla lingua oltre le contingenze locali, in una dimensione più ’universale’ ma sempre perfettamente intrecciata con il canone dell’antropologia. Una ricerca, va aggiunto, mai separata dal costante impegno politico e sociale, e neppure dalla sua produzione letteraria, che pur iniziata in sordina è cresciuta via via con una lunga serie di romanzi, racconti e raccolte di poesie, per lo più di ambientazione sarda.
Le prime pubblicazioni risalgono agli anni Settanta, con un lavoro di pura matrice accademica: “Tre saggi sull’antropologia dell’età coloniale”, (1973); “Rapporti di produzione e cultura subalterna: contadini in Sardegna” (1974); “Sa laurera: il lavoro contadino in Sardegna (1976)”. Più tardi, pubblica “Il sapere della mano: saggi di antropologia del lavoro (1986)” e I pascoli erranti: antropologia del pastore in Sardegna (1989)”.
In tutti questi lavori Angioni evidenza la necessità di una profonda riflessione sui dislivelli socioeconomici e culturali delle società occidentali, concentrando lo sguardo sui rapporti di produzione del mondo agropastorale sardo. Nato in una famiglia contadina del Sud dell’Isola, Angioni ha messo a frutto la conoscenza diretta di quel mondo, e le sue opere hanno segnato un punto di svolta importante negli studi delle realtà contadine e pastorali della Sardegna.
Come narratore esordisce nel 1978 con la raccolta di racconti “A Fogu aintro” (A Fuoco dentro), con un primo esperimento di scrittura in sardo, quello di Guasila, il suo paese, di cui tratteggia i mutamenti attraverso le vicende di alcuni personaggi ispirati in gran parte alla sua esperienza giovanile di emigrato in Germania. Nel 1983 pubblica una seconda raccolta, “Sardonica” (edizioni Edes) in cui affronta ugualmente il tema dell’emigrazione.
La scrittura di Angioni muta lentamente, con un’evoluzione non soltanto stilistica, bensì anche di tema e di linguaggio, che da prosaico diventa lirico, poetico, incastonato di endecasillabi e settenari.
Come romanziere esordisce nel 1988, con “L’oro di Fraus” un’opera prima che mostra l’abilità letteraria di Angioni: un romanzo difficilmente riconducibile ad uno schema di genere, con richiami che lo sottraggono alla pura definizione di poliziesco, dandogli un senso sociale più largo e persino di attualità politica.
Dopo “L’oro di Fraus” – che nel 2003 sarà tradotto in francese col titolo (“L’or sarde”), la sua attività di narratore e romanziere si fa intensissima. Nel 1990 scrive “Il sale sulla ferita” che otterrà un successo sia di critica che di pubblico. Con questo romanzo entra, infatti, nella rosa dei finalisti della VI edizione del premio letterario “Giuseppe Dessì”. E, per lo stesso premio, è ugualmente fra i finalisti nel 1992, con il romanzo “Un’ignota compagnia”.
Nel 1993 pubblica “Lune di stagno, e nei successivi ’94 e ‘2000 “La visita” e “Il gioco del mondo”.
Nel 2001 esce – stavolta per una Casa editrice sarda, Il Maestrale di Nuoro – “Millant’anni”, forse l’opera più rappresentativa e simbolica di Giulio Angioni, o comunque l’icona della sua intera produzione. Più che un romanzo questo lavoro è un condensato di storie in cui l’antropologo racconta l’intera storia della Sardegna attraverso le umili vicende di uomini e donne abitanti di Fraus, il paese dove si svolgono quasi tutte le storie, siano esse piccole che grandi, che Giulio Angioni ha scritto nei suoi anni da narratore. Di racconto in racconto si dà vita, con la magia della scrittura, ai diversi strati di terra e di esperienza che sorreggono e costituiscono il presente.
L’impianto semantico dell’opera è accorpato in piccoli gruppi di racconto, ciascuno corrispondente ad un’epoca storica diversa: l’età punico romana, il medioevo bizantino e pisano, l’età moderna sotto il segno della Spagna, il Settecento e l’Ottocento sotto il segno del Piemonte, il Novecento delle grandi guerre e dell’immigrazione. Dai nuraghi del primo racconto si arriva quindi al “taxi londinese” dell’ultimo, passando attraverso legioni romane, i castelli pisani e i roghi spagnoli.
Quello che emerge dalle pagine di Millant’anni è un fluire di acque che si mescolano, a tratti ristagnano e di nuovo si mettono in movimento, spinte da diversi fattori e diverse ragioni. In questo moto ininterrotto, Fraus, diventa dunque il luogo simbolo dei grandi cambiamenti: la metafora di una società agropastorale spazzata via dal tempo e da un irreversibile processo di falso progresso.
Negli anni Duemila Angioni prosegue la sua intensa produzione editoriale. Nel 2002 pubblica “La casa della palma”, nel 2003 “Il mare intorno”, nel 2004 “Assandira” (il titolo è estratto dal nome di un agriturismo ubicato in un’imprecisata località della Sardegna). Nel 2005 esce invece “Alba dei giorni bui” e “Se ti è cara la vita”. Nel 2006 “Le fiamme di Toledo”, romanzo in cui Angioni narra la storia dello scrittore e magistrato sardo Sigismondo Arquer, arso al rogo dall’Inquisizione a Toledo nel 1571.
Nel 2007 e nel 2008 pubblica rispettivamente “La pelle intera” e “Afa”. E, sempre nel 2008, la sua prima silloge poetica, intitolata Tempus, con 16 poesie in sardo-campidanese della Trexenta e traduzione in italiano a fronte. Nel 2010 esce infine il romanzo “Doppio cielo”.
Quella di Angioni, possiamo ben dire, è una figura importante nel panorama culturale sardo, con prese di posizione coraggiose sulla lingua e sulla cultura, e una partecipazione costante ai grandi temi dell’identità. È stato un intellettuale che ha sempre lasciato volentieri le aule universitarie per partecipare a iniziative pubbliche, talvolta anche minori, mettendosi sempre in gioco e alimentando il dibattito nei suoi libri come nei tanti articoli che ha scritto da editorialista per diverse testate giornalistiche. In lui ritroviamo l’esempio più alto dello studio antropologico della società sarda, un’analisi e un’esplorazione che restano fondamentali per capire l’essenza umana e sociale della Sardegna.