Un autore quasi dimenticato dall’establishment letterario e culturale. Semplice, spontaneo, mosso da valori di solidarietà, ma soprattutto un partigiano della prima linea, capace di trasformare i paesaggi della Resistenza in una grande opera narrativa. Carlo Cassola è questo, un intreccio tra psicologia e politica, un’indagine tra individuo e società.
Amante della letteratura italiana, e in particolar modo di autori come Dante, Leopardi, Tozzi e Montale, Cassola è stato uno scrittore in grado di infondere e descrivere la purezza del quotidiano e il senso più profondo della vita.
Nato a Roma nel 1917 – la madre toscana, il padre lombardo, militante socialista e redattore del quotidiano l’Avanti – la sua non è stata un’infanzia felice, probabilmente perché, ultimo di cinque fratelli molto più grandi di lui, ha sempre avvertito l’ombra della solitudine.
La sua indole malinconica e la sua fervida immaginazione lo hanno avvicinato fin da giovanissimo alla passione per la scrittura, collaborando per la rivista studentesca “La penna dei ragazzi”. Già dai suoi primi scritti Cassola si distingue per un ideale anticonformista, un pensiero che si oppone al regime fascista, rifiutandone ogni schema, ogni pregiudizio e ogni dogma. Qualche anno dopo, prende parte al movimento del ‘Novismo’ italiano, un progetto di idee esteso a più campi di studio e incentrato sulla valorizzazione della figura umana. Parallelamente, la sua formazione passa attraverso un percorso di studi classici, al Liceo Tasso, per poi iscriversi alla Facoltà di Legge, all’Università di Roma, dove nel 1939 consegue la laurea in Giurisprudenza discutendo una tesi in Diritto Civile.
Avvicinatosi ai modelli letterari di Proust e Joyce, Cassola agli inizi degli anni Quaranta comincia a lavorare ai suoi primi racconti, che verranno pubblicati nel 1942: “Alla periferia” e “La visita”.
Nello stesso anno vince un concorso per la cattedra di Storia, Filosofia e Pedagogia nei licei classici e scientifici e negli istituti magistrali di Grosseto, città dove si trasferisce per insegnare filosofia nel liceo.
Sono gli anni della Seconda guerra mondiale, e l’incalzare delle vicende politiche spinge Cassola ad entrare in contatto con i gruppi comunisti della zona di Volterra per partecipare attivamente alla Resistenza. Un’esperienza, questa, che si rivelerà determinante per la sua vita, trovando un’espressione quasi autobiografica nel suo primo romanzo, “Fausto e Anna”. L’opera, scritta inizialmente nel 1949, viene pubblicata nel 1952, all’interno della prestigiosa collana dei “Gettoni” di Einaudi, a cura di Elio Vittorini, che riconosce nel giovane Cassola una voce originale del panorama narrativo neorealista.
Il romanzo racconta il duplice fallimento di Fausto (nel personaggio si rispecchiano le vicende dello stesso Cassola): la crisi amorosa, dovuta all’incapacità di abbandonarsi alla pienezza del sentimento, e quella politica, che esprime il rifiuto di Cassola ad allinearsi all’uso strumentale che il PCI fece della Resistenza, annettendosela in toto e dipingendola con i colori più lusinghieri. Anche per queste ragioni, infatti, il libro scatenò una polemica politica per lesa Resistenza sulle colonne di “Rinascita”, il settimanale del partito comunista, in cui interviene anche Togliatti nei modi urticanti che gli erano propri e di cui aveva già fatto le spese Vittorini ai tempi del “Politecnico”.
Tuttavia, la controversia più aspra nasce nell’ambito letterario, dove Italo Calvino diventa l’avverso interlocutore di Cassola, in un dibattito infinito fatto di profonde divergenze, piccoli scontri critiche e riappacificazioni. I due si contrappongono in una visione del mondo e della letteratura agli antipodi. Ma la difficoltà relazionale che emerge con Calvino si riverbera in modi diversi anche con molti altri nomi dell’ambiente Einaudi, benché qui Cassola vi pubblichi la maggior parte delle sue opere.
Se infatti il professore di Grosseto non credeva alla ragione di partito, risultava critico anche verso quella congrega di letterati vicini all’ermetismo, autori che gli suonavano troppo raffinati e salottieri. Fra questi Bassani, Pasolini, Garboli, Citati, scrittori lontani da quella vita semplice, lineare, in cui Cassola si ostinava a cercare, in un impeto di sobrio lirismo, il senso ultimo della vita, il suo splendore nascosto.
Il sodalizio con l’Einaudi finisce dunque nel 1972, da quel momento Cassola si trasferisce a Milano. La letteratura non gli basta più, gli appare come un gioco sterile e autoreferenziale. Si dichiara invece un fervente sostenitore della scrittura impegnata, pacifista, animalista, ambientalista, antimilitarista, e i suoi modelli diventano Tolstoj, Einstein, Bertrand Russell. Entra così in una crisi personale, esistenziale, creativa e in una intervista dichiara apertamente: “Mi accanisco a distruggere i miti che mi avevano guidato sia nelle scelte che avevo fatto nella vita sia nelle scelte che avevo fatto in letteratura.”
La sua vasta produzione letteraria è costellata di diverse opere: “Il taglio del bosco” 1953; “Il soldato” 1958; “I vecchi compagni”, 1953; “La casa di via Valadier”, 1956; “Un matrimonio del dopoguerra”, 1957; “La ragazza di Bube”, 1960, che rappresenta il suo romanzo di maggiore impegno e successo di pubblico (vincitore del Premio Strega).
A seguire, “Un cuore arido”, 1961, “Il cacciatore”, 1964, “Tempi memorabili”, 1966, “Storia di Ada”, 1967 e “Ferrovia locale”, 1968. E ancora: “Una relazione”, 1969; “Monte Mario”, 1973; “L’antagonista”, 1976; “L’uomo e il cane”, 1977; “Vita d’artista”, 1979; “Il ribelle”, 1980.
L’attività saggistica diventò poi centrale nella sua produzione, parallela all’impegno antimilitarista che lo contraddistingueva (dal 1979 fu anche presidente del Movimento per il disarmo unilaterale). Fra i lavori di questo periodo si possono citare “Il gigante cieco”, 1976, “La lezione della storia”, 1978, “Letteratura e disarmo”, 1978, “Contro le armi”, 1980 e “La rivoluzione disarmista”, 1983.
Dai romanzi di Carlo Cassola sono stati tratti anche alcuni film: “L’amore ritrovato” di Carlo Mazzacurati, tratto dal libro “Una relazione”; “La Visita” di Antonio Pietrangeli e “La ragazza di Bube” di Luigi Comencini, tratto dall’omonimo romanzo.
Costretto all’immobilità da una grave malattia, Cassola muore nel 1987, a Montecarlo di Lucca, all’età di 69 anni. Una vita, la sua, fatta di profonda inquietudine personale ma anche di un coraggioso anticonformismo intellettuale capace di distinguerlo e distanziarlo dai più noti simposi del pensiero.