Schierato apertamente sul fronte della tutela delle minoranze linguistiche, tanto da aver dedicato tutta la sua vita a questo sentiero culturale, Gustavo Buratti, noto anche come Tavo Burat, è stato scrittore, poeta, giornalista, docente, politico, storico, un autore capace di mettere al centro della sua ricerca le comunità locali, le loro tradizioni e il senso di ribellione verso la verticalità del potere imposto.
Nato a Stezzano nel 1932, dopo la sua formazione giovanile si è laureato in giurisprudenza con una tesi intitolata Diritto nel Cantone dei Grigioni. Dal 1968 al 1994 è stato insegnante di francese nella scuola media inferiore di Biella. Parallelamente ha scritto su vari periodici e testate locali, fino a fondare e dirigere la rivista in lingua piemontese “La slòira”, e assumere poi la direzione della rivista “Alp”, dal 1974 al 2009.
Il suo taglio di studio verso l’identità delle comunità locali lo ha caratterizzato nella scrittura di numerosi saggi giuridici, didattici e di analisi delle tradizioni popolari sulla civiltà alpina. Ma non solo. Buratti ha redatto anche diversi articoli relativi alla storia contemporanea e ai problemi linguistici delle minoranze. Una linea tematica, questa, che lo ha portato a diventare segretario dell’Associazione internazionale per la difesa delle lingue e delle culture minacciate (AIDLCM), di cui Buratti è stato anche uno dei fondatori a Tolosa nel 1964. Ma al centro dell’indagine culturale del docente lombardo c’è soprattutto il tema del tuchinaggio, ovvero la rivolta delle popolazioni avvenuta nel Canavese e nelle valli alpine alla fine del XIV secolo: un moto di ribellione verso l’eccessivo potere dei feudatari guidato dall’eretico Fra Dolcino. Nello specifico si tratta di un filone di ricerca storico-scientifica importantissimo per Buratti, al punto che nel 1974 fonda anche il Centro Studi Dolciniani, coordinandolo fino al 2009. Lo scrittore Enrico Camanni ha spiegato questa attenzione di Buratti per i movimenti ereticali e per la corrente dolciniana sottolineando che non si trattava di un amore basato su motivi teologici, bensì sul fatto che Dolcino rappresentasse un’icona di ribellione contro l’autorità. Per queste ragioni Buratti studiava e parlava le lingue delle minoranze, perché erano un segno di opposizione al potere che le rifiutava. E, sempre per queste motivazioni, percorreva e celebrava le alpi più lontane dalle rotte turistiche, perché dal suo punto di vista le montagne rappresentavano da sempre un rifugio per i disubbidienti e i perseguitati: “gente strana e testarda, che in ogni posto e in ogni tempo parlava una lingua incomprensibile al potere”. La vena dissidente di Buratti si profonde contestualmente anche nella poesia, con versi in vernacolo piemontese e componimenti raccolti in alcune antologie pubblicate da Mondadori e Garzanti.
Una frontiera, quella poetica, dove emerge ancora una volta lo sguardo attento sul tema delle minoranze. E al riguardo, nell’ottobre del 1975, Buratti si fa organizzatore, insieme ad Antonio Piromalli, di un convegno tenutosi a Lecce proprio in difesa delle minoranze linguistiche. Un evento al quale fu invitato anche Pier Paolo Pasolini, che tenne la celebre lezione-conversazione intitolata Volgar’eloquio, ovvero il suo ultimo intervento pubblico prima dell’assassinio. Ma c’è anche la politica attiva nel percorso di Buratti. A Biella, infatti, lo scrittore lombardo è stato consigliere comunale e assessore della Comunità montana Bassa Valle Cervo, dal 1970 al 1993. Inoltre, ha svolto attività partitica dapprima nel PSI, per il quale è stato dirigente regionale dal 1975 al 1984, e in seguito nei Verdi, dove ha ricoperto il ruolo di consigliere Nazionale della Federazione Italiana dal 2000 al 2009. Da ricordare, tra le altre cose, anche la partecipazione alla revisione dello Statuto della Regione Piemonte tra il 1997 e il 1998. E non solo: Buratti è stato anche tra i fondatori del Consiglio federativo della Resistenza di Biella; Presidente del concistoro della Chiesa Valdese di Biella; Vicepresidente dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
Alla sua morte, nel dicembre 2009, coerentemente all’operato testimoniato in vita, Burrati ha voluto che il suo corpo fosse avvolto nella bandiera dei Sinti piemontesi, come ultimo segno di adesione alla sua missione di vita: la tutela delle identità marginalizzate.